Profumi .... ....... ..... ... e gustosità di casa nostra

Profumi e gustosità di casa nostra
L’Emilia Romagna è quasi un continente, una regione che vive realtà diverse: ambientali, storiche e sociali. Una regione che ha tre anime: i monti, i colli, la pianura, poichè tanto piatta da essere definita “Bassa” in quanto forma, lungo il grande fiume un habitat che è, a tutti gli effetti, una sub regione, la Padania. Il patrimonio enogastronomico è unico per varietà, ricchezza e fantasia con profumi ed i sapori del mare, dei monti, dei fiumi e della pianura stessa. Territori che sono stati etruschi prima e romani dopo, bizantini, altri longobardi e celti, con ducati, principati e signorie, ma sempre con un unico grande e determinante catalizzatore: la cucina. Una cucina a volte regale e a volte popolaresca ma mai sciatta o approssimativa, in quanto sfumatura continua di ingredienti e di esecuzioni, sfumature che ritroviamo anche nei vini in una impressionante sequenza di tipi, sapori e bouquet, degnamente rappresentata da Bologna, indiscussa capitale della buona tavola. La cucina dell’habitat bolognese ha superato le vicende storiche conservandone le tracce di gustose tradizioni nell’antichissima “crescentina”, sottile e piccola sfoglia fritta nello strutto, nel tradizionale tortellino da sempre identificato col popolaresco “ombelico di Venere”, nei succulenti strati di morbide bontà nell’abbraccio del forno delle verdi lasagne e nella tipica, ricca di unicità della classica tagliatella riccamente condita col ragù, appunto alla bolognese, e nell’utilizzo della cipolla, dei fagioli e del porro: il tutto “maritato” a vivaci e solenni vini bianchi e rossi dei Colli Bolognesi, che consolidano il binomio uomo-cibo, uomo-vino. Vi sono amici che hanno fatto della passione per il vino e per il cibo un’importante ragione della personale esistenza, un elemento che integra e completa la propria professionalità: dai loro racconti, dalle loro storie ed esperienze, emerge un contesto in cui, giorno dopo giorno, si nota l’immancabile qualità dei vini delle nostre splendide colline: dal Pignoletto, nella briosa vivacità o calda ed avvolgente classicità; la sanguigna Barbera o l’accattivante classe e signorilità del Cabernet Sauvignon oppure l’impagabile aroma vegetale del Merlot se affinato per qualche anno! Questi nettari bacchici si prestano ad essere maritati non solo ai piatti delicati e gustosi di casa nostra, anche alle innumerevoli portate che l’italica fantasia dello chef può preparare. Importantissimo, cercano di migliorare l’estetica e l’accoglienza del locale, tenendo presente anche quei minimi particolari che normalmente si ritengono trascurabili e di poco impatto coreografico.
Cercano di coinvolgere attivamente il cliente, in quanto consapevoli che nel momento in cui entra nel ristorante devono riuscire ad offrirgli qualcosa di speciale, fuori dall’ordinario e renderlo partecipe di una rappresentazione in cui anche solo una nota stonata sarà, purtroppo, maggiormente considerata rispetto a tutto quanto di positivo ed accattivante sarà offerto dal ristorante stesso.
Vi è un persistente e fattivo sforzo sempre più propositivo verso un costante miglioramento e consapevolezza che soltanto attraverso un buon rapporto con i fornitori, il personale in toto e l’avventore del locale: in altre parole, si deve costruire un circolo virtuoso in cui soddisfazione e piacevolezza del proprio operato si autoalimentano determinando un successo duraturo dell’attività stessa. Dai primi, pochi singoli e specifici casi in cui questo risultato è stato pienamente conseguito, si è giunti, via via sempre più, ad una quasi totalità di ristoranti in cui le maestranze credono nel proprio operato, anche perché, determinante, il ristorante è una delle aziende più difficili da gestire.
Dunque Bologna “Dotta e Grassa” fin dall’inizio della sua prosperità medievale, per la vocazione e la facilità dei transiti, alle relazioni commerciali ed aperture verso paesi diversi, al mondo accademico che le permettono di proporci una cucina sensibile alle modificazioni, produzioni ed elaborazioni provenienti da altre località purchè in grado di arricchire le tavole bandite di oltre 150 osterie e 50 alberghi che esercitavano, alla fine del ‘300, all’interno della possente cinta murale che ne delimitava la città stessa. La personale realtà produttiva ha potuto consentire lo sviluppo delle tante presenze di elevata fama culturale richiamate dall’Alma Mater, giungendo ben presto ad una dimensione internazionale ed eccellente a riguardo della gastronomia: su tutto, nella loro esemplarità, la mortadella, le tagliatelle ed i tortellini ottenuti dalla sapiente lavorazione della pasta “tirata col mattarello”, in quanto vive espressioni della cucina bolognese che affonda nelle produttive radici agricole. Negli anni ’70, per dirimere le dispute sorte tra le famiglie conservatrici del segreto per la produzione del “ripieno” necessario per farcire piccoli e sottili quadrati di sfoglia, intervenne la “Dotta Confraternita del Tortellino” che depositò la ricetta codificata, presso la Camera di Commercio della città.
È giusto tuttavia, come tutti i piatti della tradizione, che anche il tortellino conservi un alone di mistero e continui ad appartenere a tutte le famiglie che lo amano e confezionano con cura. Si ricordi inoltre, che la buona cucina va sempre accompagnata con vini provenienti indissolubilmente dallo stesso territorio per cui, ad un ottimo piatto di tortellini in brodo ottenuto dalla cottura di manzo e cappone o gallina con tutti i suoi componenti vegetali che ne completano la piacevolezza, poichè per tradizione è così che si gustano pienamente, anche se sono alquanto graditi al ragù o alla panna (!), il Pignoletto DOC Colli Bolognesi, frizzante e secco, giallo paglierino scarico con impercettibili riflessi verdolini dai sentori fruttati di mela golden non troppo matura e delicate note aromatiche, ne esalta i sensi nel nome di Bacco. Anche a riguardo della tagliatella bolognese, da sempre presente sulle tavole, determinante è la larghezza con cui si identifica e tale misura è stata riprodotta in un campione aureo racchiuso in uno scrigno riportante la dicitura “8 mm. - misura tagliatella - Accademia Italiana della Cucina - 1972” e gelosamente custodito nel Palazzo della Mercanzia di Bologna, a testimonianza e tutela delle gloriose tradizioni della cucina locale. Tale misura è da considerarsi quando è cotta, mentre da cruda è 6,5-7 mm. con spessore appena superiore ad 1 mm.
Solennemente decretata con atto notarile il 16 aprile 1972: questa particolare misura corrisponde alla 12270ma parte dell’altezza della torre Asinelli, uno dei tanti simboli della felsineità, per cui ogni altra misura le farebbe perdere il suo particolare carattere. Se si vogliono assaggiare condite col ragù, il mariage ottimale è con un calice di spumeggiante Barbera DOC Colli Bolognesi, dalle brillanti sfumature porpora, giovane e ricca di intrinseche gustosità! Altre squisitezze prettamente felsinee, tortelloni di ricotta, l’antica gustosità della zuppa imperiale in brodo: piccoli cubetti di soffice impasto di uova e molto, tanto, parmigiano reggiano impreziositi dall’aroma della noce moscata. Mentre per i secondi piatti, unica è la classica cotoletta alla bolognese arricchita di prosciutto crudo e fontina; il carrello dei bolliti con le originali salse e friggione; le carni alla griglia e gli immancabili salumi, e per concludere in dolcezza, come nelle migliori occasioni goderecce, la torta di riso, il certosino e l’impareggiabile panone bolognese delle feste natalizie. Un ultimo consiglio: tutte queste portate saranno maggiormente valorizzate se gustate in abbinamento ai vini delle nostre colline! In queste righe in cui si è cercato di interpretare e comprendere la “buona“ ristorazione delle tradizioni bolognesi ma anche dell’innovazione culinaria, le incoerenze, contraddizioni, stonature e non sempre l’immagine di un chiaro successo economico, ma è, giustamente, una realtà che merita di essere valorizzata, poiché più di altre porta visibili i segni di un costante sforzo di ricerca dell’ottimo e della qualità per gli avventori delle nostre tavole.

Pier Luigi Nanni
Giornalista enogastronomo